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Spiegare il femminismo agli uomini

In Donne, uomini on 19 luglio 2010 at 14:53

Eh sì lo so, non è facile. Qualcuno sostiene che è una questione di DNA, io sostengo invece che è difficile spiegare quello che non si vuol capire, ma è indiscutibilmente complicato superare tutti i millenni di pregiudizi e di falsa informazione.
Un amico, tempo fa, mi ha chiesto a quale testo o linea di femminismo mi rifacessi. Chissà perché mi sono sentita in colpa e davvero imbarazzata nell’affermare che non avevo mai letto niente e che nessun gruppo “anni 70” mi stava ispirando. Anzi no, un libro lo avevo letto e ne avevo fatto oggetto di tesina all’esame di maturità. “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti che proprio femminista, in senso stretto, non è. Lei come me sosteneva che non esistono alla nascita doti che determinino la “superiorità maschile” e di contraltare la “inferiorità femminile”, ma solo doti umane che vengono sviluppate in modo condizionato e condizionante al ruolo sociale che si vuol consegnare a quel particolare genere.
La cosa che mi colpì di più erano i diversi tempi di allattamento al seno, se una madre allatta un maschio lo tiene al seno molto di più che una femmina. Ovviamente la prima cosa che viene da pensare, dopo questa scoperta, è che o le femmine sono meno voraci, oppure lo sono di più e ci mettono meno tempo nella poppata. Non è così, purtroppo, la causa è semplicemente l’insieme dei pregiudizi sessuali di un sesso (quello della madre) con lo stesso sesso (quello della figlia) mentre tutto diventa più “naturale” se a succhiare il seno è un maschietto. Sembra che alle madri piaccia di più. Suppongo che sarebbe l’inverso se ad allattare fosse il padre, ma il caso purtroppo vuole che l’allattamento al seno sia di sola pertinenza femminile.
Fin dalla nascita si instaura un regime educativo che sfavorisce le femmine e favorisce i maschi. Sia che si tratti di opportunità educative, sia che si tratti di opportunità di vita, le donne devono guadagnarsi tutto con un maggior dispendio di energie. Sarà che le femmine sono più stupide di “natura”? Statisticamente non sono certamente meno dotate di intelligenza, intuizione, arguzia, volontà e coraggio, anzi, a dirla tutta e passando alla pratica, mio figlio, durante il suo percorso scolastico, ha visto solo femmine a contendersi il primo posto nella classifica della preparazione e nella capacità di esprimersi. Non sto nemmeno a dire come le donne nel lavoro siano più capaci di adattamento e di mobilità degli uomini. Non solo si adattano meglio ad ogni tipo di attività, ma hanno sicuramente più “amor proprio” per il loro lavoro che contende il primato al maschio più ambizioso.
Una mia amica giovane, dopo aver letto il libro della Belotti mi ha confidato: “Lo sai, leggere questo libro mi ha fatto pensare che l’unico modo che abbiamo per rivalerci è far nascere solo figli maschi”. Il che fa pensare che non ha torto, salvo poi inorridire: ma tutti questi figlioletti maschi, nel momento che rimangono senza madri, chi li salverà? E’ indiscutibile che chi, alla fine, perpetua l’errore iniziale, quello che inserisce la femmina in un certo ruolo ed il maschio in un altro ben delimitato, è sempre quella “benedetta donna della loro madre”.
Eppure io vizio mio figlio maschio come vizierei la mia figlia femmina. Continuo a reagire alla semplice frase: “Dai usciamo che ti porto al cinema” con la frase acidetta “E che è non c’ho due gambe pure io?” Certamente che mi stupisco sempre della poca autonomia che hanno gli uomini messi nella situazione di pensare da soli a se stessi, mentre invece mi sento orgogliosa delle capacità decisionali delle donne. Mi sconvolgono i pregiudizi dei maschi contro le donne veramente indipendenti e libere, per dire non quelle che “la danno” ogni qualvolta garba loro per avere in cambio delle migliori opportunità, ma solo quelle che fra le tante cose amano liberamente come ogni uomo fa di abitudine, anche confortato dal mondo intero. Che differenza passa tra un “furbacchione” e una “ragazza leggera”? E ancora di più tra un uomo dalla forte carica erotica e una donna veramente “porca”?
Queste sfumature mi sfuggono. Ma si sa io sono femminista e questo la dice lunga sul mio modo di intendere i rapporti tra uomini e donne. Eppure io penso che gli uomini siano una parte essenziale del mio mondo, che abbiano lo stesso diritto delle donne di esistere e che vengano educati allo stesso modo dell’altra parte del cielo per far sì che sviluppino le stesse qualità che sembrano di unico appannaggio della femminilità. Magari col tempo invece di ridurre le donne a partorire figli maschi, geneticamente modificati, far sì che pure gli uomini vivano direttamente la loro paternità, magari affidando loro in età prepuberale esigenti bambole che chiamano papà in continuazione e che chiedono di essere cambiate perché dopo la poppata si sono bagnate il pannolino. Ho detto bamboline mica creature di gomma piene di orefizi senza fine, perché già intravvedevo maliziosità negli occhi di tutti voi maschietti e tenevo a precisare che se aspettate da me un trattamento che vi sia più favorevole, mi sa che dovrete aspettare ancora un pezzo. 🙂

Buon compleanno

In amore, personale on 5 luglio 2010 at 19:35

Sono passati 26 anni. Pochi? Molti? Non saprei. Bisognerebbe chiederlo a te. Era una giornata calda come oggi, ma era la prima giornata di vero caldo della stagione. Tu come al solito eri in ritardo. La tua pigrizia la dovevo accettare fin da allora. Era tutto programmato o nascevi o il giorno dopo ci avrebbero pensato i medici. Tu ci hai pensato su ed hai aspettato fino all’ultimo. Era giovedì, ed il giorno prima ero andata a letto con delle contrazioni a cui non badai perché non mi facevano male. La notte dormii profondamente. Stavo bene ed era estate.
Improvvisamente tutto cambiò. Mi ero alzata per fare pipì e mentre facevo il bidet tu hai deciso di darmi la sveglia. Un liquido di color verde scuro macchiò la porcellana bianca. Verde scuro? Ma cosa stava succedendo? Ti ascoltai con un po’ di trepidazione, ma quello che era successo mi aveva spezzato il respiro. Non ti muovevi più. Oddio, avevo fatto la frittata! Chissà perché avevo pensato ad una frittata, quando mi era venuto il sospetto di aver aspettato troppo prima di chiamare l’ospedale.
Chiamai l’ambulanza e non sapevo come fermare quel fiume in piena, così scuro, così definitivo. Presi degli asciugamani, ma ero spaesata. Non mi capacitavo, mi avevano detto che se stavo in piedi tu avresti tappato la falla e io avrei potuto camminare almeno quel po’ fino all’idroambulanza. Anna, che mi faceva compagnia, si era messa al telefono e mi aveva detto che sarebbe arrivata a piedi fino al reparto.
Arrivò il paramedico con una sedia che mi fece scappare da ridere, una sedia gestatoria e mai nome fu più appropriato. Quel paramedico era un mio vecchio amico che non vedevo da almeno 16 anni. Ci siamo guardati stupiti: –Tu!– disse –Eh sì, io!– risposi tirata, e forse proprio per la sua presenza non volli sedermi sulla sedia e partii con una certa determinazione verso l’ambulanza. Mi vergognavo. Non era bello, camminare con un asciugamano malamente mimetizzato nelle mutande. Ma non mi piaceva farmi vedere preoccupata e in balia degli eventi.
Quella volta la tua pigrizia ci salvò. Non ti stavi impegnando nel parto, non volevi metterti in posizione, non volevi mettermi in allarme, non volevi farmi male, sembravi percepire che il parto normale ti avrebbe ucciso. Non importa il dolore che ho provato durante quelle lunghe otto ore che rimasi in travaglio, non importa quante mamme partorivano mentre io ero lì a pensare a te, col terrore di perderti senza immaginare che avrei potuto perdere anche me stessa.
Non importa il dolore, ma era importante il battito del tuo cuoricino, che mi rassicurava che tu c’eri e che potevo sentire passo passo quando lo stress per te diventava troppo forte. Nel pomeriggio, sudata e disfatta, mi accorgevo che la forza mi cominciava a venir meno, e dopo una delle tante visite, tu ti staccasti dal contatto e non udii più il tuo battito. Il medico accorse e mi disse sovrappensiero: –Non capisco, torna sempre più su.– Allora mi impuntai, no! basta, è assurdo aspettare, voglio un intervento cesareo. Chiamatemi il mio ginecologo. E così ti fecero uscire. Un bestiolino di 3 kili e 350 con un bel fiocco annodato di cordone ombelicale intorno al collo.
Il tuo disimpegno e la mia decisione ci salvarono e il medico me lo disse chiaro e netto. –Per fortuna siamo intervenuti altrimenti si strozzava.– Ebbravi che siete intervenuti (pensai io).
Mi tennero a lungo in sala operatoria per risistemare un “problemino” non meglio identificato che era intervenuto durante l’intervento. Ne venni a conoscenza 2 giorni dopo quando andai a sbirciare sulla cartella clinica. A tagliare erano andati giù duro e mi avevano decollato la viscica, cosa che può accadere, dicevano i medici, cosa vergognosa dicevano le ostetriche, ma quello era e mi dovevo sorbire i miei bei 12 giorni di post operatorio.
Ti vidi un attimo, dal vetro della nursery, non ti riconobbi, tra parentesi eri nato maschio e senza capelli ed io mi ero fatta che eri femmina e coi capelli rossi. Nessuno, credo, riconosca il proprio figlio, quando lo vede fare le boccacce, nei vestitini nuovi nuovi portati per l’occasione. Poi non so se era stata l’anestesia, io stavo morendo dal freddo e sulla pancia mi avevano messo una borsa di ghiaccio che non contribuiva a farmi sentire a mio agio e oltre a tutto provavo per me stessa e per quel piccolo una certa indifferenza. Ma sentivo che nella pancia si muoveva ancora qualche cosa ed era inutile, per quanto sapessi che tu eri oltre quel vetro, io non sapevo accettare che tu fossi staccato da me, non ci credevo.
La notte fu una notte atroce, non mi lagnavo mentre aspettavo di vedere le prime luci dell’alba, come se la luce del mattino avesse potuto quietarmi. Una ostetrica venne a visitarmi e dopo essersi messa le mani sui capelli mi disse: –Ma che aspettava a chiamarmi, non sente che è in un lago di sangue?– Eh no, che non lo sapevo, nessuno sa, la prima volta che ha un figlio, quanto dolore e quanto sangue deve perdere. Svegliò tutto il personale in servizio e tra punture e cambi di lenzuola, passarono le ore che mi restavano prima dell’alba.
Ed in effetti con l’alba incominciai a sentirmi meglio. Il sangue usciva in modo corretto, finalmente, e oltre tutto avevo anche un ottimo ricambio e non dovettero farmi una trasfusione. Non mi serviva niente di più che essere lasciata in pace. E il mio pensiero ti cercava tra le stanze dell’ospedale. Dov’eri piccolino mio? Perché non ti portavano dalla tua mamma? Volevo vederti, vedere quanti ditini avevi nelle mani e nei piedi, volevo guardarti bene in faccia per prendere le tue misure e per non scordarti più. Ero distesa ed impossibilitata a muovermi. Ghiaccio sulla pancia, catetere e flebo ed una spossatezza infinita. Finalmente un’infermiera entrò con quel fagottino tanto atteso, me lo posò sullo stomaco e mi disse di darti il seno.
Era comico, se non fosse stato così complicato, perché si sa che, una donna distesa, non riesce ad allattare un bambino neonato, soprattutto se ha una flebo su di una mano e il corpo inservibile. Eppure lo feci tentando una posizione che poteva scambiarsi con un tuffo carpiato. Tu mangiasti pigramente, tanto per affermare che questo sarebbe stato il tuo modo di essere. Le fatiche non erano fatte per te, ma me le dovevo sobbarcare io. Nel frattempo controllavo le tue manine perfette, il tuo naso schiacciato, la tua espressione seria e sussiegosa. Ma chi sei? Mi chiedevo intenerita. Già mi facevi sorridere, non avrei messo troppo tempo ad abituarmi a te.
Fu complicato con una mano sola levarti le due scarpine di lana per vedere se pure lì andava tutto bene, il numero tornava, e poi fartele indossare. Sì lo so che era sfiducia nei confronti di tutti quelli che alle mie domande mi avevano risposto: –E’ un bambino perfetto, di che si preoccupa.– ma dopo tutto perché avrei dovuto fidarmi?
Ti portarono via per pesarti e per cambiarti e mi annunciarono che la pediatra voleva parlarmi. –Signora mi spiace, ma il bambino lo dobbiamo ricoverare in pediatria, ittero precoce e poi il fegato, sa è un po’ troppo grosso, ma lei per caso non è che… scusi se glielo chiedo, ma… non è che beveva alcolici oppure si drogava?– Mi vene da pensare che se fossi stata in condizioni migliori le sarei saltata al collo, mica per baciarla, no, le avrei fatto solo un collarino stretto delle mie mani. –No, non bevo, non fumo e non mi drogo e non l’ho mai fatto in vita mia!– Lo devo aver detto con un tono incazzato perché si ritirò velocemente scusandosi ancora.
E ora mi portavano via il mio bambino. Adesso sì che cominciavo ad odiare il mondo. Vai a fidarti dei medici, tu ti ci metti in mano e loro ti riducono ad una bistecca sanguinolenta. Non mi persi d’animo, mi sarei alzata a qualsiasi costo e quel bambino l’avrei accudito io, e quando dicevo a qualsiasi costo era a qualsiasi costo davvero. Nel pomeriggio mi sedetti e misi le gambe fuori dal letto, la testa girava come una trottola, ma se qualcuno avesse vinto la guerra quella ero io.
Tentai qualche passo, ma il catetere mi teneva legata al letto. Ci riprovai alla sera e quando venne il ginecologo mi chiese come stavo, io risposi che stavo bene ma che avevo il seno che mi faceva un male del diavolo, lui fece portare la macchina per tirare il latte. Certo mi sentivo una mucca da latte, ma di latte ne avevo in quantità industriale, e cominciai a mandarne al mio piccolino biberon pieni. Chiedevo notizie del bambino e le infermiere cominciavano a capire che non mi bastavano notizie tranquillizzanti, quindi una mi disse. –Guardi, se domani se la sente, può, attraversando la sala parto, raggiungere un corridoio che sta tra l’ostetricia e la pediatria. Così non serve uscire e attraversare l’ospedale.– Non lo disse ad una sorda. La mattina dopo, all’ora della poppata, con in mano la sacca della pipì, passo dopo passo raggiunsi,sotto gli occhi esterrefatti delle infermiere, della sala parto la pediatria.
Non serviva che leggessi il tuo nome sul braccialetto, ti tirai su e ti cambiai per la prima volta, dopo ti pesai, ti diedi la poppata e ti ripesai, prima di andarmene ti ricambiai con una maestria che stupì le infermiere del reparto, –Ma quanti figli ha?– –Questo è il primo ed il solo!– Non sapevano che avevo cresciuto i miei fratelli e che dai sette anni in poi avevo fatto bagnetti, pappette, cambi di pannolini e distribuzione di succhiotti.
Non è difficile capire subito la natura del proprio figlio e neppure cosa gli piace e cosa no. Tu eri troppo serio, guardavi il mondo con un occhio attento, ma sembravi preoccupato. Di che? Della mamma che ti era toccata in sorte? Vai a saperlo. Ti piaceva farti cambiare e accarezzare, ma non amavi stare in braccio e non riuscivi a dormire a pancia in su. Ti mettevo a pancia sotto e ti addormentavi come un ghiretto. L’infermiera mi diceva –me ne sono accorta pure io, non si preoccupi, lo lasci così, succede ai bambini che subiscono un parto complicato.
Non sapeva che tu non avresti mai dormito se non a pancia in giù, mai amato stare in braccio alle persone che non conoscevi per paura di cadere, che non avresti mai fatto una capriola e che avresti sofferto di vertigini. Non parliamo poi dei viaggi in aereo. Un giorno, già grandino, ti apristi la cintura di sicurezza e senza tanti preamboli mi dicesti: –Io scendo!
Eri un bambino che non piangeva mai, e così crescevi. Sapevi controllare i tuoi istinti e le tue paure, bastava che ti rassicurassi, che mostrassi fiducia in te, che sminuissi gli incidenti. Era facile crescerti perché non cercavi mai lo scontro per capriccio. Eri ragionevole e mai ti lanciavi in avventure pericolose. Ti lasciavi spronare e io lo facevo sempre, rassicurante. Io credevo in te e tu in me. Questo era il nostro segreto. Non temevi l’acqua di mare perché io non la temevo. Sapevi nuotare fin da subito. Partisti a camminare a dieci mesi dopo una caduta madornale. Avevi capito che non era poi così difficile, al massimo si cade. Cominciasti a parlare con una proprietà di linguaggio che oggi potresti invidiare ed eri affettuoso ma senza troppe smancerie. Eri il mio bambino imperfetto, ma per me eri il bambino ideale, non avrei voluto nessun altro figlio che non fossi tu.
Ecco! oggi è il tuo compleanno. Ne sono passati 26 di anni insieme. Abbiamo vissuto, senza che lo volessimo, tempi difficili, ma non ci siamo mai pesati addosso. Io ti ho lasciato andare molto presto e ho seguito i tuoi passi da lontano. Ti ho amato prima di tutto e mi sono innamorata anche delle tue fidanzatine, dei tuoi amici, delle tue passioni, ma sono sempre rimasta a margine, so bene che tu sai che quando vuoi vieni e c’è sempre un abbraccio per te.
Inutile spiegare perché tra genitori e figli a volte si instaurino dei rapporti speciali. Ma io mi fido di te e tu ti fidi di me e questo è tutto.
Buon compleanno amore. io sarò sempre qui.
Mamma