rossaurashani

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La strada

In Gruppo di scrittura on 12 giugno 2011 at 21:20

La mattina è livida e fredda. Un giorno come tanti. Ormai da troppo tempo è un giorno come sempre. Il Bambino sembra un fagotto di stracci. Ha un’aria severa, da grande. Non mi stupisco più di non vederlo mai giocare. Torno indietro con la memoria. Non ricordo più nemmeno quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho visto un bambino giocare. Allora c’erano gli alberi e tutto il resto. Il resto… Una pioggia sporca ci penetra nelle ossa. Lui mi guarda aspettando un segno… Andiamo. Con lui non serve parlare. Credo sia nato sapendo già tutto. Credo sia diverso, anzi lo è. Si alza e continuiamo sulla strada.
Non è solo mia l’idea. Mi dirigo verso il mare e non mi chiedo perchè.
Sia chiaro, il Bambino non è mio figlio. Io non volevo figli in un mondo come questo. E’ stato un caso. Faceva la mia strada. Per un po’ mi ha seguito come un cane a distanza. Poi una sera si è messo a dormire con me dietro ad un muro mentre il vento ci gettava addosso tutta l’acqua del creato. Perchè dirgli di andarsene? Lui non chiede mai nulla. Si basta, e io ho bisogno di avere un essere umano da guardare. Ma lui è qualcosa di diverso. Il mondo è morto ormai da così tanto tempo che non ne sento quasi più la mancanza. Però qualche notte sogno. E la luce è dolce in quei sogni e i colori sono vivi. Quando mi sveglio guardo il Bambino. Lui questi sogni non li fa. Lui non sa.
La cosa più difficile è trovare cibo. Nei primi tempi, dopo la catastrofe, e stato più semplice. Bastava andare in città e trovare le riserve nelle cantine o nei negozi. Poi un po’ alla volta anche quelle sono finite. La gente ha combattuto la guerra per la sopravvivenza. In molti sono caduti. In troppi. Le strade sono diventate dei cimiteri a cielo aperto. L’aria insalubre. I muri grigi si scheggiavano sotto la pioggia e il gelo, un nero fuligginoso si scioglieva in ogni dove. La gente ha deciso di andarsene. Dove? Io non so. Verso il mare come se lì ci fosse la salvezza. Sono sopravvissuta solo perchè ero già abituata a vivere di niente. Il mio corpo assessuato non emana nessun richiamo. Vivo di niente e per niente. Poi arrivò il Bambino.
Non ho mai pensato al passato e nemmeno al futuro. Il Bambino mi fa riflettere. Maledico la stupidità del passato e l’inconsistenza del futuro. Ci siamo venduti l’acqua, il sole, la natura e la salute, per cosa poi? Per dei soldi che ci hanno reso più poveri? Io non avevo avuto né questo né quello, ero l’ultima degli ultimi.
Il profilo deformato del Bambino taglia in due la torbida aria fluida che ci circonda. Io respiro a fatica. L’acqua fangosa mi soffoca, mi schiaccia. Il Piccolo invece sembra non farci caso, lui si dirige sicuro verso il mare. Da dove viene il Bambino e dove intende andare? Lui è diverso da me, lo sento dentro. Con i miei stracci mi nascondo la pelle rinsecchita e squamata, pallida come quella di un cadavere. Il Bambino ha una pelle tesa, indifferente, con una consistenza che sembra lamina metallica. Gli stessi riflessi argentei che il buio non rivela. Io sono vecchia e cado a pezzi, ma non me ne frega niente. Non voglio sopravvivere al mondo. E continuiamo sulla strada fangosa e vuota. E il Bambino davanti scivola nell’aria pesante con un guizzo. Io rallento e lui si dimena negli stracci come un animale in gabbia. Il mare è vicino, lo sento dall’odore di marcio nell’aria. Non era questo il suo odore, io questo lo so bene, lo ricordo ancora da quell’ultima volta. Il profilo del Bambino si deforma. Lo guardo ed innorridisco. E’ questo il nuovo che avanza? Digrigna i denti in una smorfia che imita il sorriso. Un ghigno di file di denti senza senso. Ora so. Questo è il futuro.

(raccontino pessimista ispirato dal libro La strada di Cormac McCarthy e dalla questione toccata dai referendum).